La storia di un'idea che ha cambiato le regole.
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Immagine del redattoreBiova Project

La storia di un'idea che ha cambiato le regole.

Aggiornamento: 21 ott


Cinque anni fa, il 10 ottobre 2019, Biova Project nasceva con una semplice ma potente missione: trasformare lo spreco alimentare in opportunità. Fondata a Torino da Franco Dipietro ed Emanuela Barbano, Biova ha visto la luce grazie alla volontà di ridurre lo spreco di pane invenduto, un problema evidente e persistente. Quello che è iniziato come un progetto di quartiere, con una birra prodotta da pane recuperato, è diventato un vero e proprio hub di innovazione alimentare. Oggi celebriamo questo incredibile viaggio di cinque anni.



Nei primi giorni, il team era piccolo ma incredibilmente determinato. O ingenuo, se volete, ma certamente tenace. Simone Oro (che una volta ha tritato 150 kg di pane con un macinino elettrico da cucina: un lavoro che manco un monaco buddista), Martina Dierico, Vito Tracquilio e Martina Andriani (ricordate la notte di Natale a fare i pacchi in stile catena di montaggio?) hanno lavorato fianco a fianco con i fondatori per portare Biova dalla fase di start-up alla realtà che è oggi. È stato un viaggio difficile e non sempre allegro, come per tutte le start-up: quando si è piccoli, i problemi sembrano grandi, ma con la crescita crescono anche le sfide.


Un episodio su tutti: la prima volta che abbiamo prodotto una cotta intera (ovvero un lotto di birra) non avevamo idea del volume che potesse occupare, né del peso che potesse avere. Ci siamo trovati in tre, quella mattina, senza transpallet, senza guanti, senza scarpe antinfortunistiche, in t-shirt e calzoncini corti, ad aspettare il trasporto in Via Valperga Caluso, a Torino. Per chi la conosce, non è esattamente una via in cui si passa facilmente. Quando abbiamo visto il camion avvicinarsi, con la motrice e il rimorchio, ci siamo spaventati a morte. L'autista ci ha visti, tre "pischelli" in calzoncini, e ha sorriso. Per fortuna era uno di quelli giusti. Si è prestato anche lui e abbiamo cominciato a mettere i pallet a terra, trascinandoli giù da uno scivolo del marciapiede (ogni pallet 1 tonnellata), usando il transpallet dell'autista, spingendo sotto i suoi ordini (sì, ci ha fatto da capo logistico) per attraversare la strada e portarli nel nostro ufficio, che usavamo anche come magazzino. 9 pallet da 1 tonnellata. Nessuno aveva mai visto tanta birra insieme.


A pensarci oggi, a quel giorno, viene da ridere, ma anche da ringraziare che nulla sia andato storto. Oggi non lo rifaremmo più. Ma quella volta abbiamo riparato con la determinazione a un errore di inesperienza. D’altronde è esattamente questo lo spirito che ha spinto all'inizio.



Insieme a questi primi collaboratori, sono arrivati poi i primi assunti come Stefano Forneris, Thomas Thoson, Antonella Celiberti (che già conoscevamo bene) e Deborah Barbuto, che hanno contribuito a costruire una squadra unita e determinata a fare la differenza. Oggi, il nostro team è più agguerrito che mai, e siamo pronti a continuare a innovare.

Siamo passati dal produrre birra per il nostro quartiere ad essere presenti nei punti vendita di Ikea, COOP, Carrefour, Capatoast, e in prestigiose catene alberghiere come Hilton, Marriott, Melia, NH e Mandarin Oriental. Siamo passati da 0 a 1, come si dice spesso nel mondo delle start-up. È tutto o niente: si sopravvive o si chiude. Noi abbiamo scelto di sopravvivere e crescere.



La fase più dura forse è stata superata. Abbiamo dimostrato che Biova Project è qui per restare. Ma abbiamo ancora tanto da fare. Perché Biova non è solo una birra o uno snack, ma un movimento che crede in un futuro più sostenibile. E questo, è solo l'inizio.

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